Markus Imhoof possiede il proprio mestiere di cineasta con mano sicura: ed è una cosa che si può dire di non molti registi svizzeri.

Questo suo FLUCHTGEFAHR, fu presentato due anni fa . Ed il fatto che una delle pellicole svizzere più "commerciali", nel buon senso della parola, giunga solo ora da noi, dimostra in quale stato si trovi una rete di distribuzione cinematografica che non riguardi i film di Alain Delon piuttosto che di Laura Antonelli.

Imhoof è stato particolarmente sensibilizzato dal problema della depressione carceraria in Svizzera. Già nel 1968 aveva girato un mediometraggio di quaranta minuti sul problema, RONDO, che le autorità del cantone di Zurigo avevano proibito. Qui ritorna sull'argomento, ampliandolo, rivolgendosi ad una platea più vasta. L'operazione riesce a metà: RONDO, che si è visto finalmente quest'anno alle Giornate di Soletta possedeva momenti di fremente autenticità, nei quali la passione della denuncia arrivava a fondersi all'emozione della poesia.

FLUCHTGEFAHR è condotto con mano sicura; ma si notano indubbiamente non pochi compromessi, la preoccupazione di piacere o perlomeno di essere compresi da chi riceve il messaggio. La tentazione di dire un po' troppe cose e di dirle, in definitiva, con un rigore insufficiente. Con tutto questo, si tratta di un'opera più che dignitosa del cinema svizzero, e che merita di essere vista.